Sono nato a Cremona l’8 ottobre del 1963 e ho frequentato lo stessa scuola del poeta Virgilio. Naturalmente la cosa è relativamente improbabile, ma sui banchi di scuola avevamo imparato che il sommo tra i poeti latini aveva studiato a Cremona e il Manin ci sembrava così meravigliosamente antico da fare apparire come possibile – anche se, effettivamente, non probabile – che Virgilio potesse essere stato uno di noi.
L’edificio, un monastero del Quattrocento che mostrava tutti gli anni che aveva (quelli nella foto sono naturalmente il Duomo, il Torrazzo e il Battistero di Cremona, non il Manin), aiutava comunque nel farti pensare che Virgilio avesse potuto un giorno essere seduto in uno di quei banchi. Sia come sia, c’erano giornate in cui a noi piaceva pensarla così. Di solito erano i giorni in cui c’era la traduzione in classe di greco. Negli anni del Liceo, il primo mercoledì del mese era riservato al compito in classe di latino; il secondo a quello di greco. Confesso che ero già a metà del cammino universitario quando smisi di essere contento, il secondo mercoledì di ogni mese, per il fatto che non dovessi fare, in quel giorno, la traduzione in classe dal greco.
Ho completato la mia formazione scolastica negli Stati Uniti. Ci andai come exchange student al termine della stessa estate in cui l’Italia di Bearzot vinse il campionato del mondo di calcio. Là, sulle tranquille sponde del fiume Ohio, imparai presto che, oltre a Paolo Rossi, l’idolo del momento, i due italiani più noti provenivano entrambi dalla stessa città: Luciano Pavarotti ed Enzo Ferrari. Così, per dare un’idea ai miei interlocutori di dove si trovasse Cremona, iniziai a prendere a riferimento Modena. Come direbbero gli americani: “Little did I know!” Modena avrebbe infatti avuto un ruolo tutt’altro che secondario nella mia vita. Tra i miei compagni di scuola alla Apollo High School c’era Rex Chapman, futura stella della NBA e ancora oggi mio buon amico.
L’unica persona che incontrai e che sapeva esattamente dove era Cremona era un uomo sulla sessantina con il quale, un sabato mattina di inizio ottobre, mi ritrovai a giocare a golf. Lui era solo, io ero solo. Mi propose di giocare con lui. Detto, fatto. Alla seconda buca a bruciapelo mi chiese: “Hai detto che vieni da Cremona? E’ sulla sponda sinistra del Po, corretto?” Rimasi sorpreso. Praticamente nessuno nel Kentucky sapeva dove fosse Cremona e oggi quest’uomo sapeva addirittura su quale sponda del Po si trovava. La sua domanda non restò un mistero a lungo. Nel luglio del 1944, precisamente il 10 luglio del ’44, era a bordo di una delle fortezze volanti che bombardarono Cremona. Fu il bombardamento più pesante che Cremona subì durante la seconda guerra mondiale e quest’uomo, questo pilota della US Air Force con cui stavo giocando a golf, era a bordo degli aerei americani che sganciarono le bombe nel tentativo di colpire la stazione ferroviaria. Che mancarono. Mettendo invece sottosopra il cimitero che, allora come oggi, è subito dietro. A Cremona, a porta Milano, c’è una targa in marmo che ricorda l’avvenimento. Ne venne fuori un articolo che scrissi per una bellissima rivista cremonese che oggi non c’è più e il cui titolo era Colloqui cremonesi.
Trascorsi un anno a vivere la vita del mio telefilm preferito di allora – Happy Days – e al termine dell’anno, anzichè tornare in Italia come (quasi) tutti gli exchange student, mi iscrissi all’università negli Stati Uniti. Quando ero partito volevo fare il giornalista. L’anno di High School mi aveva fatto innalzare a livelli oltre quelli di guardia l’interesse per la storia e la politica americana (che ancora oggi sono la mia vera passione) e così mi iscrissi a Scienze Politiche e Storia. E anche se non mi laureai in giornalismo, scrissi spesso e volentieri per il quotidiano universitario, il Kentucky Kernel. Tiratura oltre le 20.000 copie. Nell’anno scolastico 1985-86, certamente non per merito mio, vinse il premio come secondo miglior quotidiano universitario degli Stati Uniti. Una bella palestra per un aspirante scrittore.
Dopo la laurea nel 1987 decisi di tornare in Italia. Non sono sicuro neppure adesso, a distanza di così tanti anni, di aver preso la decisione giusta. Ma dopo cinque anni negli States Cremona mi mancava e a Cremona tornai. Rientrato in Italia e prima del servizio militare (all’epoca obbligatiorio) ebbi la fortuna di poter fare un’esperienza di lavoro che mi avrebbe di fatto cambiato la vita. Secondo Piazza, l’ex presidente del Circolo filatelico della mia città, diventato presidente della Provincia di Cremona, mi offrì il ruolo di Capo ufficio stampa dell’amministrazione provinciale. Era un ruolo nuovo, che non esisteva. Accettai e, da allora, la mia vita lavorativa sarebbe sempre stata nel campo degli uffici stampa e delle direzioni della comunicazione.
L’anno del servizio militare, che ebbi la fortuna di fare in Aeronautica, fu propedeutico per molti motivi. Tra questi, scrissi il mio primo tentativo di romanzo. Lo intitolati La pista di fuoco, prendendo a prestito il nome con il quale a Viterbo chiamavano la striscia di asfalto dietro alle baracche dove dormivamo. Era scritto in forma di diario e a me non dispiaceva. La pista di fuoco non andò da nessuna parte, ma fu importante perchè, per la prima volta, mi ero cimentato in uno scritto che andasse oltre le tre, quattro cartelle di quegli articoli che scrivevo per il quotidiano di Cremona o che avevo scritto, anni prima, per il quotidiano dell’università.
Al termine del militare mi ci volle un anno per trovare un altro lavoro. Nel frattempo continuai le mie collaborazioni giornalistiche a Cremona. Ricordo che all’epoca della prima Guerra del Golfo scrivevo anche i testi del radiogiornale per un’emittente di Crema. Tutto molto bello. Ma il lavoro, quello vero, iniziò dopo che, a luglio del 1991, risposi a un annuncio sul Corriere della Sera. Era la Peugeot Italia che chiamava. William Dozza mi scelse e la mia vita cambiò per sempre.
Scrivere era sempre stata la mia passione, così come la storia della corse in automobile. Il passo tra il voler firmare un articolo e il voler firmare un libro è breve – anche se richiede una buona dose di sano protagonismo. Iniziai a scrivere La Scuderia all’epoca in cui lavoravo alla Toyota. Iniziai a pensare di poterlo effettivamente pubblicare – o comunque di provarci – quando ero in Pirelli. Ebbi la fortuna di trovare il compagno di viaggio ideale in Umberto Zapelloni e benché il manoscritto de La Scuderia restò a lungo in un cassetto, insieme pubblicammo il nostro primo libro nel primo autunno del nuovo secolo. Gli altri libri sono stati una conseguenza di quel primo: altri due con Umberto sulla scia de La Rossa e le altre, il mio primo libro da solo, il mio primo libro con un editore non italiano e sì, finalmente, anche il mio primo romanzo.
Ferrari Rex è il libro che ho sempre sognato di scrivere nella speranza di poter aggiungere qualcosa alla vicenda di quello straordinario personaggio che è stato Enzo Ferrari. Un libro che mi ha dato soddisfazioni impensabili e grande popolarità in Italia così come all’estero.
La congiura degli innocenti tratta invece di una vicenda della Formula 1 della seconda metà degli anni Settanta su cui non ci si sofferma mai o, come disse Bernie Ecclestone nel corso dell’intervista che mi concesse per questo volume, “Un periodo della storia della Formula 1 che la gente, mi spiace dirlo, conosce poco.” Era obiettivamente difficile scegliere un argomento su cui scrivere dopo aver dato alle stampe una biografia di 1100 pagine su Enzo Ferrari, biografia che era immediatamente diventata una sorta di must tra gli appassionati e non solo. Ma la travagliata storia del ritorno in Formula 1 dell’Alfa Romeo nella seconda metà degli anni Settanta mi aveva incuriosito allora e, con mia grande sorpresa, nessuno ne aveva mai scritto fino a che non ho deciso di farlo io.
Nel 2020, nel ventennale del nostro primo libro insieme, è uscito invece un nuovo volume scritto a quattro mani con Umberto – Il grande libro della Formula 1. Volume seguito, nell’autunno del 2021, sempre con Umberto, da Gilles Villeneuve – L’uomo, il pilota e la sua leggenda. Nel mezzo, il mio primo libro di racconti, Belli e dannati, quattordici racconti ambientati nella Formula 1 degli anni Settanta. Che sarà seguito, nei primi mesi del 2022, da Belli e dannati 2 – Erano giorni che tutti avevano vissuto.
Vita anteriore
Se la mia vita di scrittore incomincia nell’autunno del 2000, la mia vita anteriore – a livello professionale, si capisce – inizia il 27 agosto del 1991, il mio primo giorno in Peugeot Italia.
1991 – 1993, PEUGEOT ITALIA In realtà il mio primo giorno di lavoro era stato il 26, il giorno in cui Automobiles Peugeot presentava in contemporanea europea, via collegamento TV da Parigi, la allora nuovissima 106. In una delle grandi sale conferenze di un hotel di Milano presi per la prima volta contatto con un mondo – quello dell’automobile – che sarebbe stato il mio mondo per il quarto di secolo successivo. Ero stato scelto da William Dozza, che all’epoca era il direttore dell’Informazione della filiale italiana della Casa francese. Dozza – che preferiva essere chiamato per cognome anche se tutti nella nostra direzione gli davamo del tu – era quello che all’epoca si diceva un autentico “mostro sacro” delle pubbliche relazioni. Era amato da noi e rispettato dai giornalisti. Per me fu un maestro. Grazie a un enorme colpo di fortuna – avevo risposto a un annuncio pubblicato sul Corriere della Sera nel luglio di quell’anno – ero entrato dalla porta principale in un mondo che adoravo ma che, da fuori, mi sembrava così distante.
1993 – 1996, TOYOTA MOTOR ITALIA In Peugeot mi trovavo benissimo. Già pensavo che non me ne sarei mai andato, quando alla mia porta bussò un cacciatore di teste. Mi prospettarono la possibilità di assumere la direzione delle Pubbliche Relazioni della Toyota in Italia. La Casa giapponese all’epoca era virtualmente sconosciuta in Italia. Fino ad allora si era affidata a un importatore, ma da settembre sarebbe subentrata in forma diretta. Cercavano giovani di belle speranze e io potevo essere uno di loro. Accettai di parlare con il cacciatore prima e con l’azienda poi più che altro per capire quale potesse essere il mio valore economico sul mercato. Avevo meno anni di esperienza di quanti ne volessero ed ero più giovane del profilo del candidato che avevano in mente. Ma scelsero me. Nulla mi leva dalla testa che venni scelto perché, con ogni probabilità, fui l’unico a non discutere sullo stipendio. Ma lo stipendio era buono e, soprattutto, a 29 anni mi venne per la prima volta affidata la direzione di un ente e la guida di un gruppo di persone. Il mio staff era giovane quanto me. Furono anni molto belli mentre, insieme all’azienda, crescevamo anche noi.
1996 – 2001, PIRELLI La chiamata della Pirelli significò il ritorno a Milano dopo i tre anni romani alla Toyota. In Pirelli mi occupai di tutto tranne che di pneumatici. Lavorai con il settore Cavi e sistemi e con quello del Real estate, naturalmente sempre a livello di ufficio stampa/pubbliche relazioni. E mi occupai di comunicazione Corporate. Ma il ricordo più bello è legato ai due anni in cui mi occupai della comunicazione sportiva, seguendo la squadra corse della Pirelli nelle trasferte del Campionato del mondo Rally WRC e in alcune prestigiose corse di durata in pista come le 24 Ore di Daytona e di Le Mans.
Libri pubblicati in questo periodo: La rossa e le altre, 2000.
2001 – 2005, FERRARI Iniziai il 2 luglio del 2001 e, ancora oggi, il 2 luglio di ogni anno per me non è un giorno come gli altri. Come ogni ragazzo italiano, sognavo da sempre di lavorare per la Ferrari. Il sogno divenne realtà grazie ad Antonio Ghini, il mio secondo maestro, all’epoca il mega-direttore della Comunicazione della Casa del Cavallino. Dopo tre settimane di apprendistato a Maranello, varcai l’oceano per assumere il mio incarico, che era quello di responsabile della comunicazione per la Ferrari e per la Maserati negli Stati Uniti. All’epoca la Maserati era di proprietà della Ferrari e da Maranello si stava orchestrando il ritorno della Casa del Tridente sul mercato americano. Nonostante difficoltà estranee al mondo dell’auto – il debutto della vettura con la quale la Maserati si apprestava a fare ritorno negli USA andò in scena l’11 settembre 2001, qualche ora prima dell’attacco alle torri gemelle del World Trade Center – riuscimmo a posizionare degnamente la Maserati agli occhi dell’opinione pubblica americana. Ma il ricordo più bello dei quattro anni americani è senza dubbio il tributo della città di New York in occasione dei 50 anni di presenza della Ferrari negli Stati Uniti quando, per una sera d’aprile, l’Empire State Building di New York si accese di rosso in onore della Casa del Cavallino.
Libri pubblicati in questo periodo: La rossa dei record, 2002; Una leggenda che continua, 2003; Il tedesco volante e la leggenda Ferrari, 2004.
2005 – 2015, MASERATI La separazione tra Ferrari e Maserati della primavera del 2005 significò che tutti coloro che avevano precedentemente lavorato per entrambi i marchi avrebbero lavorato per uno solo di essi. Per me la scelta significò Ferrari negli Stati Uniti. Ma quando si aprì la posizione di responsabile della comunicazione Maserati per tutto il mondo – ahimè – la scelta cadde su di me. Dico ahimè non per sembrare ingrato perché naturalmente la cosa fu più che auspicabile dal punto di vista della carriera. Il problema era che avevo la Ferrari nel sangue, in America ci stavo più che bene e qualche anno ancora ci sarei restato volentieri. Ma nonostante le riserve iniziali, mi trovai tra i protagonisti di una splendida avventura, quella del ritorno della Maserati a scenari di prima grandezza. Avventura culminata nelle celebrazioni del Centenario della Maserati, il 1° dicembre 2014 a Bologna.
Libri pubblicati in questo periodo: La Scuderia, 2009; The Ferrari Phenomenon, 2010; Ferrari, 2010; Maserati, 2011; Maserati: Un secolo di storia, 2013.